

Il mese è stato incredibilmente volatile per i mercati finanziari, che hanno affrontato il “Liberation Day” e il susseguirsi di annunci, contro annunci, ripensamenti e cambiamenti di strategie con un risultato sostanzialmente invariato per gli indici azionari e obbligazionari che non fornisce una rappresentazione corretta di ciò che sta succedendo nell’economia e nelle dinamiche geopolitiche.
L’S&P500 ha realizzato, in meno di una settimana, la peggiore performance giornaliera dal marzo 2020 (-5,97% il 4 aprile) e la migliore performance giornaliera dal 2008 (+9,52% il 9 aprile), arrivando a perdere, sui minimi del 7 aprile, il 13,8% da inizio mese per poi recuperare il 12% nelle tre settimane successive. Con un VIX che, superando il livello di 50, ha toccato livelli che, in questo secolo, hanno eguali solo nelle fasi peggiori della grande crisi finanziaria e del covid. E i rendimenti dei titoli decennali americani, sostanzialmente invariati nel periodo, si sono mossi fra il 3,85% ed il 4,6%, un range di ampiezza assolutamente inusuale.
Si tratta di risultati straordinari se inquadrati nel contesto della “guerra” commerciale tra gli USA ed il resto del mondo e dello “scompiglio” che il nuovo presidente degli Stati Uniti ha portato nella politica internazionale e nell’economia globale.
Le asset class in cui investiamo sono state particolarmente resilienti tenuto conto del peggioramento delle aspettative sulla crescita globale, dell’aumento delle attese sull’inflazione americana, del peggioramento del combinato “crescita-inflazione” che determina una contrazione dei multipli azionari, del peggioramento delle stime sugli utili societari, dell’aumento dell’incertezza, dello stravolgimento della “global supply chain” e della messa in discussione, da parte degli investitori internazionali, delle allocazioni ad azioni e obbligazioni USA, nonché al dollaro, che potrebbe avere un impatto di lungo periodo sui flussi di capitali internazionali.
Se il mese di aprile non rappresenta correttamente tutto questo, gli ultimi tre mesi, che coincidono grosso modo con i primi 100 giorni della presidenza Trump, sembrano più coerenti: a partire dal 20 gennaio le azioni americane hanno sottoperformato quelle del resto del mondo di oltre il 17% e il DAX, in dollari, del 25%; il Dollar Index (DXY) ha perso il 10%, l’oro si è apprezzato del 22% ed i flussi di capitali verso il franco svizzero hanno portato i rendimenti a 2 e 5 anni dei titoli governativi svizzeri ai livelli negativi a cui trattavano all’inizio del 2022.
Paradossalmente, e forse inaspettatamente anche per chi ha causato questo disordine, l’economia USA è la prima a subirne le conseguenze. Il sentiment dei consumatori sta peggiorando rapidamente e a tutti i livelli di reddito e le attese di inflazione stanno aumentando altrettanto rapidamente. Il livello dei dazi sui beni cinesi, che realisticamente saranno ridotti nei prossimi mesi, determinerà l’indisponibilità di molti articoli e prodotti intermedi, con l’effetto “scaffali vuoti” visto durante il covid, un aumento dei prezzi, crescente incertezza e tensioni nel mondo del lavoro legato a commercio, logistica e trasporti. Si rafforzano i presupposti per lo scenario di stagflazione che abbiamo evidenziato più volte negli ultimi mesi.
In questo scenario il nostro portafoglio continua a connotarsi per la difensività della componente azionaria di stock picking, per la ricerca di opportunità relative (in particolare Europa vs USA), la bassa esposizione al dollaro, la diversificazione nelle materie prime e la bassa duration del portafoglio obbligazionario.
Abbiamo progressivamente aumentato l’esposizione alle azioni (+25%) riducendo le coperture sul mercato americano (+20%), su quelli europei (+4,5%) ed in Giappone (+2,3%), senza modificare l’allocazione settoriale del portafoglio di stock picking.
Abbiamo ridotto l’esposizione alle obbligazioni (-18,5%) con vendite di titoli governativi che hanno ridotto la duration da 0,75 a -0,6 anni.
Nelle divise abbiamo ridotto il peso di yen (-22%) e sterline (-19,5%) incrementando l’esposizione a franchi svizzeri (+15%) ed euro (+38%).